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- Costo orario del lavoro specializzato: fino a 150 euro.
- Olio tunisino a 2,80 euro al chilo crea competizione sleale.
- Importazioni aumentate del 66%, superando le 252 mila tonnellate.
L’agonia dell’olivicoltura italiana: tra speculazioni e importazioni selvagge
L’olivicoltura italiana, pilastro della tradizione e dell’economia agricola, sta affrontando una crisi senza precedenti. In Calabria, come in Abruzzo e in altre regioni vocate, il grido d’allarme degli olivicoltori risuona forte e chiaro: un sistema agroalimentare in ginocchio, schiacciato da costi insostenibili, concorrenza sleale e speculazioni di mercato. La situazione è talmente grave che si parla di un vero e proprio “collasso” del settore, con conseguenze devastanti per i produttori, i consumatori e l’intero tessuto economico del Paese.
La raccolta delle olive, un tempo simbolo di prosperità e identità culturale, si è trasformata in un incubo logistico ed economico. I costi di produzione sono aumentati vertiginosamente, con un’ora di lavoro specializzato che può arrivare a costare fino a 150 euro e la frangitura che supera i 20 euro al quintale. Allo stesso tempo, il prezzo dell’olio extravergine d’oliva biologico è crollato a 7,50 euro al chilo, una cifra insufficiente a coprire anche solo una parte delle spese sostenute dagli agricoltori.

A questa situazione già critica si aggiunge il problema delle importazioni selvagge di olio dall’estero, in particolare dalla Tunisia, dove il costo al chilo è di soli 2,80 euro. Questo olio, spesso di qualità inferiore, viene imbottigliato in Italia e venduto come “Made in Italy”, ingannando i consumatori e danneggiando ulteriormente i produttori italiani, che sono sottoposti a controlli e normative molto più rigide. Nel 2025, le importazioni sono aumentate del 66% rispetto all’anno precedente, superando le 252 mila tonnellate. È un paradosso inaccettabile: l’Italia importa olio mentre i suoi olivicoltori sono costretti a svendere il proprio prodotto o addirittura a rinunciare alla raccolta.
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La giungla del web e la mancanza di trasparenza
Un altro fattore che aggrava la crisi è la proliferazione di vendite online di olio “artigianale” attraverso social network e marketplace. Questi canali di vendita sono spesso privi di controlli, etichette chiare e tracciabilità, creando una giungla digitale dove la speculazione è all’ordine del giorno e i produttori onesti vengono penalizzati. *La mancanza di trasparenza è un problema strutturale che favorisce le frodi e le adulterazioni, minando la fiducia dei consumatori e danneggiando l’immagine dell’olio extravergine d’oliva italiano. La situazione è particolarmente critica in Calabria, dove gli uliveti si estendono per 180 mila ettari, rappresentando oltre un quarto della superficie olivicola italiana. Quella che una volta era una risorsa trainante e un elemento distintivo si trova ora in uno stato di profondo disinteresse e abbandono da parte delle istituzioni. L’assenza di reti logistiche adeguate, di strutture per la conservazione a basse temperature e di efficaci canali di distribuzione a livello regionale ostacola la valorizzazione del prodotto e espone i coltivatori a una competizione iniqua.
Speculazioni sui prezzi e qualità a rischio
Anche in Abruzzo, la Cia (Confederazione Italiana Agricoltori) denuncia un’ondata ribassista anomala dei prezzi dell’olio extravergine d’oliva, definendola una “speculazione” senza alcuna giustificazione economica. Secondo l’associazione di categoria, un gruppo di imprenditori oleari avrebbe avviato una strategia concertata per acquistare olio nuovo a prezzi stracciati, generando un effetto domino sui mercati e spingendo artificiosamente le quotazioni verso il basso. Talvolta, si verificano situazioni in cui oli con caratteristiche organolettiche inferiori vengono immessi sul mercato come “extravergine” per manipolare le dinamiche di prezzo.
Questa speculazione mette a rischio la qualità dell’olio extravergine d’oliva italiano e danneggia il lavoro dei produttori onesti, che non possono competere con prezzi così bassi. È fondamentale che le istituzioni e gli organi di controllo intervengano per monitorare le dinamiche commerciali e contrastare i comportamenti scorretti, tutelando il valore di un prodotto che rappresenta un’eccellenza del Made in Italy.
Un futuro possibile: riforma e valorizzazione
Di fronte a questa crisi, è necessario un cambio di passo radicale. La Calabria, come le altre regioni olivicole italiane, ha bisogno di una riforma integrale della rete agroalimentare, che unisca produttori, trasformatori, consorzi, logistica e istituzioni. È necessaria l’istituzione di un organismo di coordinamento a livello regionale incaricato di delineare e sovrintendere all’intera filiera produttiva, dal campo al consumo finale, seguendo modelli di successo implementati in regioni come l’Emilia-Romagna, il Veneto e la Puglia.
È cruciale adottare una normativa che renda obbligatorie etichette limpide e comprensibili, istituisca un registro unico per le merci importate e preveda ispezioni stringenti per assicurare la rintracciabilità dei prodotti. La politica deve finalmente mettere mano a un piano industriale dell’agricoltura, che valorizzi le eccellenze del territorio e protegga i produttori dalla concorrenza sleale. Non è più tempo di lamenti, ma di scelte coraggiose e lungimiranti.
Ripartire dalla terra: un nuovo Rinascimento olivicolo
L’olivicoltura italiana ha un potenziale enorme, ma per esprimerlo appieno ha bisogno di un nuovo modello di sviluppo, basato sulla qualità, la trasparenza e la sostenibilità. È necessario investire nella ricerca e nell’innovazione, per migliorare le tecniche di coltivazione e trasformazione, ridurre i costi di produzione e aumentare la resa degli uliveti. Bisogna promuovere la cultura dell’olio extravergine d’oliva, educando i consumatori a riconoscere e apprezzare le sue qualità organolettiche e nutrizionali.
È tempo di un nuovo Rinascimento olivicolo, che riporti la terra al centro dell’economia e della società, valorizzando il lavoro dei produttori e tutelando un patrimonio culturale e ambientale unico al mondo.*
Amici, parliamoci chiaro: l’agricoltura, e in particolare l’olivicoltura, non è solo un affare di numeri e mercati. È un legame profondo con la terra, con le tradizioni, con la nostra identità. Avete mai pensato a cosa significa la “potatura” per un ulivo? È un po’ come la vita: a volte bisogna tagliare via i rami secchi, le cose che non servono più, per far spazio a nuova crescita, a nuovi frutti.
E a proposito di crescita, sapete cos’è l’ “agricoltura di precisione”? È un po’ come un medico che fa una diagnosi accurata prima di prescrivere una cura. Grazie a sensori, droni e software, gli agricoltori possono monitorare lo stato di salute delle piante, ottimizzare l’irrigazione e la fertilizzazione, ridurre gli sprechi e proteggere l’ambiente.
Ma la tecnologia non basta. Serve anche una riflessione profonda sul nostro rapporto con il cibo e con chi lo produce. Siamo disposti a pagare un prezzo giusto per un olio extravergine d’oliva di qualità, prodotto con amore e rispetto per la terra? Siamo consapevoli del valore del lavoro agricolo, spesso faticoso e poco remunerato?
Forse è il momento di cambiare prospettiva, di riscoprire il gusto autentico delle cose semplici, di sostenere i produttori locali e di valorizzare il nostro patrimonio agroalimentare. Perché l’olivicoltura non è solo un settore economico, ma un pezzo importante della nostra storia e della nostra cultura.








